Quale futuro per i giovani
(fotolaPresse)
Chi sono gli indignati?
La recente manifestazione degli indignati a Roma porta nuovamente l’attenzione sulla questione del disagio giovanile e riaccende i fari sulle condizioni e sulle prospettive delle giovani generazioni nel nostro paese.
Il malessere che serpeggia, un sentimento ormai sempre più diffuso tra i giovani italiani, di classi e orientamenti diversi, è sicuramente riconducibile alle problematiche ormai note da anni: il furto di futuro, la carenza di aspettative per l’avvenire, la disoccupazione, la precarietà del mondo del lavoro, il degrado del mondo della scuola e il deficit di welfare.
Tuttavia il movimento è cambiato. Ha assunto connotazioni di maturità e di costruttività. Gli indignati, infatti, non sono un fenomeno solo italiano. Quello che stiamo vivendo è sicuramente un periodo storico caratterizzato dal fenomeno della globalizzazione. Termine ambiguo, che è stato spesso il punto focale proprio di molte proteste giovanili. Ma proprio la globalizzazione (in questo caso quella comunicativa) sviluppatasi specialmente in questi ultimi anni (con i social network) ha sicuramente contribuito ad alimentare il movimento degli indignati.
Il movimento, in Europa trova da subito terreno fertile in Spagna. Il 15maggio 2011 in occasione delle amministrative, iniziano le prime proteste pacifiche a Madrid. Il primo obbiettivo che si propone il movimento spagnolo è una democrazia più partecipativa, in un contesto caratterizzato da una profonda crisi economica. Il movimento, spiegano i leader, viene ispirato dalle rivolte del nord Africa della primavera araba. Quel che è sicuro comunque è che i social network, Facebook in primis, hanno svolto un ruolo decisivo nell’organizzazione delle proteste, in entrambi i casi. Dalla Spagna il movimento degli ‘indignados’ è esploso come un virus e si è allargato in tutto il mondo, andando sempre più crescendo fino ad arrivare al 15 ottobre, giorno in cui tutto il mondo, da New York a Tokio , da Francoforte a Tel Aviv , a Roma , con 1500 proteste in 82 paesi, gli indignati hanno manifestato contro gli abusi delle banche e le speculazioni finanziarie, il precariato e le fallimentari ricette anti-crisi della politica.
Il movimento ha mostrato a Roma un profilo di maturità, isolando i violenti e volendo valorizzare il senso politico della protesta e il bisogno di un confronto diretto. Giusto condannare gli atti di violenza, ma è anche inutile perdersi nelle questioni di ordine pubblico dovute alle manifestazioni. Il problema è politico ed economico-sociale. Il movimento è pacifico e non si pone obbiettivi violenti. Tuttavia le “mele marce” sono ovunque, ma sono comunque la minoranza. Gli atti di violenza vanno condannati perché violenti e, in quanto tali, portano la classe politica e l’ opinione pubblica a screditare il movimento, deviando l’attenzione dei media. I giovani vogliono risposte e sicuramente non basteranno quelle di condanna da parte di qualche giudice o ministro.
Come non indignarsi?
- la disoccupazione: in Italia, nell’aprile 2010 il tasso giovanile era al 28.0 %, a settembre è salito al 29,3% .Al sud sfiora il raddoppio. Tra il 2008 e il 2009 tra i lavoratori di 15-34 anni si sono persi circa 485.000 posti di lavoro(-6,8%). La ripresa è stata lenta ed incerta. Nel luglio 2011 il tasso si è fermato al 27.6% (dati OCSE-OECD).
- l’ascensore sociale si è bloccato: cresce il disagio occupazionale in Italia mentre la media ponderata del tasso di disoccupazione nell’ area OCSE è al 16.7%, acuendo perciò il disagio dei giovani italiani e aprendo una via di fuga delle intelligenze verso quei paesi dove la mobilità sociale- il famoso ascensore- viene maggiormente garantita. In Italia basti pensare che solo il 10% di persone aventi il padre non diplomato riesce a laurearsi. La probabilità di diventare avvocato è maggiore per un figlio di avvocato, idem per farmacisti e notai. Inoltre i giovani sono scoraggiati dalla certezza che i loro stipendi saranno minori di quelli dei loro genitori.
- il precariato: si stima che un giovane lavoratore su due è precario. Il 46.7% ha quindi un lavoro a tempo determinato, con inevitabili ripercussioni sia sulla qualità delle condizioni di vita - difficoltà a perseguire autonomie abitative, a stabilizzare rapporti di coppia, a dar vita a nuove famiglie- sia delle aspettative lavorative e sociali.
- lavoro in nero: sono quasi tre milioni i lavoratori in nero. Si stima che il 6,5% del PIL nazionale deriva proprio da questi. Inoltre il lavoratore in nero ha uno stipendio sensibilmente inferiore al lavoratore regolare.
Come si comportano le imprese?
Il 44° Rapporto Censis ha rilevato che le imprese, nelle intenzioni, non sembrino discriminare i lavoratori più giovani. Il 35,7% dei posti di lavoro ricercati, dovrebbe essere destinato a giovani sotto i 30 anni e il 26,8 tra i 30 e i 40. Salvo che nel momento in cui vengono effettuate le assunzioni questi buoni propositi non vengono rispettati.
Si stima che nel 75,2% dei casi le aziende chiedono un esperienza di lavoro alle spalle. Questo ovviamente comporta una notevole riduzione delle probabilità di essere assunti. L’esperienza richiesta inoltre è variabile a seconda del tipo di lavoro. Di questi 75,2% :
- Il 39,3% richiede esperienza nel campo in cui l’azienda opera.
- Il 20,7% esperienza personale.
- Solo il 15% richiede un esperienza generica.
Inoltre nel 40% delle assunzioni programmate, le imprese richiedono competenze di tipo tecnico-manuali, screditando quindi le attitudini comunicative, amministrative, informatiche linguistiche.
In questo contesto bisogna considerare che i giovani molto raramente hanno già delle esperienze lavorative alle spalle. Questo è vero specialmente per i ‘giovanissimi’. Infatti tra i compresi nella fascia d’età 15-19 anni il tasso è al 3,5%. Le buone intenzioni delle imprese quindi non si concretizzano quasi mai a causa di queste condizioni e sarà sempre una piccola percentuale di aspiranti lavoratori ad arrivare alla firma del contratto.
Ma allora cosa può fare la politica per i giovani?
Alla politica sono richieste risposte su più fronti, principalmente:
del mercato del lavoro: un concreto cambiamento nelle logiche di transizione scuola–lavoro. La costruzione di percorsi di inserimenti lavorativi premianti e agevolati . La preparazione di curricula culturali e formativi finalizzati da una parte alla complessità interdisciplinare e dall’altra alla realtà del mondo del lavoro. L’ attuale sistema è macchinoso ed inefficiente. Scoraggia i giovani e allontana le aziende; un’azione coraggiosa sul fronte degli incentivi per la nuova occupazione e per l’imprenditoria, misure che garantirebbero quindi un migliore sistema pensionistico.
della scuola: altrettanto importante è investire nella scuola. Una scuola moderna, adeguata alla complessa società multietnica e globalizzata, per garantire una migliore formazione scolastica e culturale ai fini di un’ occupazione che sappia cogliere le sfide del futuro, intervenendo sui programmi, sulla didattica, sulla fornitura dei materiali tecnici e didattici, sui tempi e sulla trasmissione dei saperi, nell’era di internet, della comunicazione e della creatività.
Dello sviluppo e degli investimenti: la ricerca è fondamentale per garantire all’economia nazionale di crescere. Il governo sta infatti rimediando alla crisi tagliando fondi alla ricerca. Questa cura, non solo non è efficace, ma comporta anche rischi per il futuro mantenimento del sistema economico. I tagli non possono essere fatti indiscriminatamente, senza distinzioni. Il presidente Napolitano disse in una visita ai laboratori del Cern a Ginevra: “Non è retorico dire che cosa si può tagliare e che cosa non si può tagliare. Ci sono voci di spesa che non possono essere sacrificate in modo schematico e alla leggera, perché sono in un certo senso dei finanziamenti dati ai nostri giovani, alla scienza e al nostro futuro”. L’Italia, ma generalmente l’Europa deve quindi continuare a cogliere le sfide del futuro e proseguire sulla strada che l’ha caratterizzata per secoli: L’innovazione e la ricerca. Specialmente in un momento tanto particolare in cui lo sviluppo industriale dei paesi asiatici avanza, come uscendo da un lungo letargo.
Intervenire intanto, come prima risposta, su questi due punti potrebbe aiutare i giovani che decidono di uscire di casa e darebbe la possibilità di investire di più sulle nuove idee.
L’alibi della crisi economica o della mancanza di risorse usato per giustificare il non fare , l’assenza di progettualità politica e di ipotesi di sviluppo è da respingere.
Combattere seriamente l’evasione fiscale e diminuire i costi della politica diventa in questo contesto di fondamentale importanza, per poter investire in queste nuove sfide che il mondo ci pone.
Quel che è certo è che non si può chiedere ai giovani di non essere indignati quando lo spettacolo offerto dalla politica è di una volgarità e incompetenza imbarazzante, quando ruberie e favoritismi saccheggiano il bene pubblico e sottraggono futuro alle nuove generazioni.