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La classe dirigente italiana è la più vecchia d’Europa.

Che in Italia i giovani non siano valorizzati è una cosa ormai tristemente nota. Quello che spaventa veramente è quanto emerso  dal report presentato durante l’assemblea dei giovani della Coldiretti e realizzato in collaborazione con l’Università della Calabria:  La classe dirigente italiana, (tra politici, banchieri, professori universitari, sindacalisti,  vescovi, etc.) con l’età media di 59 anni,  è la più vecchia d’Europa.

Carica

Età media

Vescovi chiesa cattolica

67

Sindacati dei lavoratori

57

Rappres. Imprese industria e commercio

59

Manager aziende quote in borsa

53

Dirigenti partecipante statale

61

Direttori generali PA

57

Professori universitari

63

Banche

67

Governo

64

Camera

54

Senato

57

Fonte Coldiretti

Nel nostro paese i più anziani sono i vescovi, insieme ai dirigenti bancari, con un età media di 67 anni.  La situazione non migliora nelle università, dove l’età media dei docenti è di 63 anni. Un quarto dei docenti è over60 (il 25% totale). I professori giovani, sono praticamente inesistenti. Al di sotto dei 35 anni l’indagine ne ha trovati solo 3 su 16mila, un’impresa simile a quella del famoso ago nel pagliaio. Diversa è la situazione negli altri paesi europei: ad esempio in Gran Bretagna i docenti over60 sono appena l’8% e il 10% in Francia e Spagna.  L’Italia può quindi  vantare di avere i docenti più anziani del mondo industrializzato.
Investire sui giovani dovrebbe essere la priorità di ogni società che guardi al futuro in maniera intelligente, puntando non solo ad un miglioramento del sistema economico-sociale, ma quantomeno  ad un sano ricambio generazionale.  Il nostro paese invece non valorizza i propri giovani, tanto meno se laureati, spingendoli  a cercare altrove un futuro migliore. Il risultato è  l’incremento del triste fenomeno noto come ‘fuga dei cervelli’. L’Italia in buona sostanza esporta laureati ed importa manodopera dai paesi più poveri. Il buon esempio dovrebbe venire proprio dalla classe politica, che ovviamente è tutt’altro che giovane. Se guardiamo (anche in maniera superficiale) la Gran Bretagna, ci rendiamo conto di com’è diversa la situazione. L’età media oltremanica è infatti notevolmente più bassa, basti pensare che David Cameron è diventato primo ministro a 43 anni, Tony Blair a 44, John Major a 47 e Gordon Brown a solo poco più di 50. In Finlandia, il primo ministro Jyrki Katainen con i suoi 41 anni è il premier più giovane d’Europa. I nostri politici invece sono tra i più vecchi d’Europa. Oggi solo un deputato (su 630) ha meno di trent’anni e appena 47 sono quelli under 40. Mario Monti ha 69 anni e l’età media dei membri del suo governo è di 64 anni. Renato Balduzzi e Filippo Patroni Griffi sono attualmente i ministri più giovani: hanno 57 anni. 
Alla camera tuttavia si è registrato un notevole svecchiamento, anche se la media resta di 54 anni. Secondo lo studio, nelle ultime tre legislature sono stati eletti solo due under 30.
La burocrazia è sicuramente uno dei motivi di scontento più diffuso in Italia. L’inefficienza della pubblica amministrazione è data in parte dalla mancanza di un adeguata attrezzatura tecnologica che renderebbe molto più fluidi quei servizi che vengono oggi svolti in maniera lenta e macchinosa. Per garantire questa fluidità però bisognerebbe investire nelle nuove tecnologie e pensare ad un ammodernamento dei mezzi esistenti. Il fatto che i direttori generali della   Pubblica   Amministrazione hanno in media 57 anni,          forse  - secondo la Coldiretti - non è un caso.
I dirigenti delle aziende partecipante statali hanno un età media anche più alta: 61 anni. Meglio i privati, dove la media scende a 53 anni, ma comunque resta alta  se comparata con il resto d’Europa.  Anche i dirigenti sindacali non sfuggono allo studio. L’età media è di 57 anni. 
“Ad essere vecchie ed anche poche sono soprattutto le idee con le quali si vuole affrontare la crisi”. Ha commentato Sergio Marini (47 anni), presidente nazionale della Coldiretti. Aggiungendo poi “Si cerca di riproporre modelli di sviluppo fondati sulla finanza e sulle economie di scala che hanno già fallito altrove e che non hanno nulla a che fare con le peculiarità del Paese”.

 


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